Una democrazia può fare a meno della politica?

Domanda provocatoria
Il lettore, nelle linee essenziali
Il giornalista
La prima pulce
La seconda pulce
Il mio commento - gestione dei conflitti
Gli avvenimenti degli ultimi due mesi
Relazione della Corte dei Conti
Un alibi per la politica
Il canto delle Sirene
Scenari per il prossimo futuro
Organizzazione diversa dei partiti

Forse è una domanda provocatoria, forse la risposta è scontata. Sicuramente la domanda è pertinente, vista la situazione attuale, e sicuramente molti italiani se la pongono, non solo io.
A tale proposito, voglio riportare un mio commento alla risposta che un noto giornalista ha fornito, qualche tempo fa, ad un suo lettore che faceva delle considerazioni sul governo tecnico del Prof. Monti.

Il lettore, nelle linee essenziali: “Per formazione professionale (sono ingegnere), mi definisco senza vergogna un «tecnocrate», nel senso che alle chiacchiere e all’approssimazione dei politici preferisco i numeri e la competenza dei tecnici.
Capirai dunque che la formazione di un governo tecnico, insediato per merito di un Presidente di nome Napolitano, rappresenta per me, in una sorta di congiunzione astrale, l’inveramento delle mie decennali convinzioni politiche. Vorrei cercare di utilizzare il mio entusiasmo per convincere i molti scettici che questa soluzione rappresenta l’unico antidoto ad una deriva populista alla quale la nostra democrazia si stava conformando.
Solo venti anni fa i fenomeni politici, economici e tecnologici funzionavano secondo meccanismi abbastanza comprensibili anche ai cittadini meno scolarizzati, grazie anche alla funzione dei partiti di massa. Ora, la complessità del mondo contemporaneo ne fa talvolta sfuggire il senso anche a persone di solida cultura, e la politica fatica a governare.
Gli argomenti che fanno vincere le campagne elettorali ( per esempio, l’abolizione dell’Ici) sono ormai quasi sempre in contrasto con l’interesse generale del Paese e spesso anche del buon senso. Ritengo dunque che, una volta esaurito il compito del governo Monti (spero positivamente a metà del 2013), il centrosinistra dovrebbe presentarsi agli elettori candidando ancora un governo con alto profilo tecnico, e dando dunque continuità a questi tipo di soluzione almeno per un decennio.”

Il giornalista: “Caro ingegnere, tra le tante lettere pro Monti (altrettante ne arrivano contro) scelgo la tua perché spiega molto efficacemente il fascino concettuale del «governo tecnico»: quasi un commissariamento della politica, verbosa ed inconcludente, in favore della lucida competenza di chi sa leggere i numeri della realtà.
Benissimo, ma vorrei metterti una prima pulce nell’orecchio. Anzi, due pulci.

La prima pulce è questa. La politica, nei secoli, è stata (anche) il più potente vettore delle passioni umane. Passioni ideologiche, culturali, perfino estetiche. Ha cambiato il mondo almeno quanto le guerre e almeno quanto le religioni, in un incessante, tumultuoso rapporto con i rivolgimenti sociali dei quali è stata, al tempo stesso, il ricettore e il motore. Come si può pensare che una visione «tecnocratica» della realtà, per quanto giudiziosa, per quanto competente, possa far le veci della politica, anestetizzando il conflitto sociale, sospendendo le passioni contrapposte, se non per un brevissimo periodo di emergenza?
Seconda pulce. Per quanto sostenuto da un maggioranza parlamentare quasi oceanica, il governo Monti, che ha tanti meriti, sembra difettare di quell’energia strutturale (non trovo altra definizione) che servirebbe, ad esempio, per non arretrare di fronte a corporazioni e gilde (farmacisti, tassisti) che si oppongono alle liberalizzazioni.
Solo la politica, non certo la tecnocrazia, ha la forza necessaria per le scelte strutturali, quelle che non si limitano a gestire i conflitti, ma li portano verso una soluzione. Un governo tecnico no. Nel famoso «Paese normale» che tutti invochiamo, la «tecnica» traccia il quadro delle possibilità e delle opzioni, ma è la politica che decide quale strada imboccare.”

Il mio commento: “Mi è capitato spesso di leggere i suoi scritti, li ho sempre apprezzati e generalmente condivisi; questa volta mi permetto di non essere d’accordo e le spiegherò il perché. Prima, però, le devo dire su che cosa le mie idee non coincidono con le sue: mi riferisco al ruolo che, secondo lei, la politica ha sempre avuto e deve avere tuttora, concetto espresso all'interno del numero 1240 del settimanale per il quale scrive (23 dicembre scorso), in risposta all’ingegnere Federico.

La sua è una visione ideale della politica, forse un po’ romantica, è la visione di come dovrebbe essere realmente la politica, ma la politica, purtroppo per noi, non è così, salvo, naturalmente, alcune eccezioni, come succede sempre nelle cose della vita.
La nostra politica non si occupa della polis, fa solo finta, in realtà si occupa d’altro, ed è per questo che ne potremmo tranquillamente fare a meno.
Della politica dell’arroganza e della improntitudine, delle decisioni prese senza un minimo ragionamento critico, contro ogni elementare logica (mi riferisco anche ad iniziative di politica internazionale che definire risibili è poco, se non fossero drammatiche le loro implicazioni, soprattutto di carattere umano), dei privilegi e degli sprechi; della politica delle ruberie senza fine e senza limiti, non sappiamo davvero cosa farcene.

Ed ora veniamo alle “pulci” che lei ha messo “nell’orecchio” del suo lettore.
La prima - Le passioni ideologiche, culturali, e perfino estetiche, che lei attribuisce alla politica, sono un fatto positivo, anzi, sono fonte di arricchimento, se però rivolte a soggetti che non tradiscano sul nascere le istanze e le aspettative  dei cittadini, altrimenti sono una beffa, una doppia beffa. E poi, le ideologie esistono ancora? Credo che non è più tempo di ideologie, ma solo ed esclusivamente di atti concreti, fatti con il cuore e con la testa, e basta (c’è qualche esempio nei “dintorni” di Milano o sbaglio?).
In quanto ai conflitti sociali, lei si preoccupa che una visione tecnocratica della realtà possa anestetizzarli, quindi limitare le spinte propulsive verso la richiesta di minori sperequazioni e minori ingiustizie, giusto?

Non mi pare proprio che ci sia in vista qualcosa del genere, anzi, mi sembra che stia avvenendo esattamente il contrario: è in occasione della recente manovra economica che i sindacati si sono ricompattati, cosa che non era successa con il precedente governo! E una lotta finalmente efficace contro l'evasione fiscale, non è forse un serio tentativo che la tecnocrazia, e non altri, ha messo in atto perché certe prevaricazioni e certe furbizie abbiano a cessare?
E se la gestione dei conflitti la vuole ad agni costo assegnare alla politica, qualunque essa sia, in quanto luogo naturale ed irrinunciabile, credo sbagli proprio, in quanto i conflitti vanno aggrediti ed appianati (non eliminati, perché i conflitti sociali non sono, purtroppo, eliminabili), con determinazione, con forza e con serietà, non ci si può limitare ad essere degli "arbitri imparziali", altrimenti si fallisce. Ciò vale per la politica interna di un Paese, ed anche per la politica estera.
Il solco tra le categorie sociali, diventato negli anni profondo fossato, sta a testimoniare che la politica ha fallito, in maniera chiara ed inequivocabile (ed è la tecnocrazia che si è assunta l'onere di ridurne, se possibile, l'ampiezza e la profondità del fossato, e di effettuare quelle scelte strutturali che lei, benevolmente, affida alla politica).
Sì, proprio la tecnocrazia!

La seconda – In ordine alla poca energia strutturale del governo Monti, mi chiedo come fa un governo tecnico ad avere energia strutturale se viene minacciato di appiedamento ad ogni ora della giornata e condizionato continuamente e pesantemente nelle sue scelte.
Come fa un governo tecnico ad avere energia strutturale, forza decisionale, se quelli che lo appoggiano non vedono l’ora di farlo fuori per poi ricominciare a fare danni?

Le scelte, quelle importanti, frutto di organizzazione, di lucido raziocinio, che auspica lei e che auspichiamo noi, insomma, le abbiamo viste in questi anni, e molte! Tanto è vero che siamo in una situazione davvero invidiabile! Credo, invece, e concludo, che ci sia veramente bisogno di riconsiderare il nostro concetto di democrazia, di trovare delle forme diverse e più consone, rispetto al modello attuale, altrimenti la strada sarà sempre più in salita, terribilmente in salita.
Non lo dico solo io, il che sarebbe del tutto trascurabile, lo dicono esperti di fama e quindi degni di grande attenzione.
E se non siamo capaci di trovare in fretta queste nuove forme di democrazia, cerchiamo almeno di limitare i danni, riducendo drasticamente, e velocemente, il numero dei parlamentari e, di conseguenza, il numero dei portaborse, dei faccendieri e di altri individui con i quali, qualcuno ha detto, dobbiamo rassegnarci a convivere!
Poi la periferia, perché anche lì c’è molto da lavorare, proprio molto!
Grazie”
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Mi pare che gli avvenimenti succedutesi negli ultimi due mesi, successivi al mio commento, non abbiano fatto altro che confermare le mie considerazioni. Mi riferisco, ad esempio, ai soldi fatti sparire da un tesoriere di partito, sicuramente grande “prestigiatore”,  di fronte ad una “platea” che, come sempre succede negli spettacoli di prestidigitazione, rimane sbalordita perché non capisce dove sta il trucco. Mi riferisco, ancor di più, all’allarme lanciato dalla Corte dei Conti, secondo la quale la corruzione costa alle casse dello Stato circa 60 miliardi di euro l’anno.

Un passo della relazione con la quale il suo Presidente, Luigi Giampaolino, ha inaugurato l’anno giudiziario della magistratura contabile: “Illegalità, corruzione e malaffare sono fenomeni ancora notevolmente presenti nel Paese, le cui dimensioni sono di gran lunga superiori a quelle che vengono spesso faticosamente alla luce. Essere a conoscenza della “mappatura” dei fenomeni di corruzione, aggiunge, serve per effettuare una ricognizione degli episodi più recenti di gestione delle risorse pubbliche inadeguata, perché inefficace, inefficiente, diseconomica”.

Si riferisce a tutti i comportamenti che arrecano un danno alle finanze pubbliche: dalla corruzione dell’attività sanitaria,  allo smaltimento dei rifiuti, dal “gravemente colposo” utilizzo di strumenti derivati o prodotti finanziari, per arrivare alla costituzione e gestione di società a partecipazione pubblica e alla stipula di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.
Nella stessa occasione, il Procuratore generale aggiunto della stessa Corte, Maria Teresa Arganelli,  ha sottolineato quanto riportato sopra: la corruzione in Italia vale 60 miliardi l’anno, ma nel 2011 sono state inflitte condanne solo per 75 milioni di euro. Secondo tali dati, l’Italia deterrebbe il 50% dell’intero giro economico della corruzione in Europa. La Arganelli aggiunge, tuttavia, che il dato “appare esagerato per l’Italia, considerando che il restante 50% si spalmerebbe negli altri 26 Paesi dell’Unione Europea, tenendo conto che la Commissione europea stima in 120 miliardi di euro annui il costo della corruzione nell’Unione”.

Qualunque sia l’esatto importo, in eccesso o in difetto, "aivoglia" a manovre economiche!

E quello che succede nei piani alti di un grande grattacielo di Milano! Che desolazione! Noi  dovremmo avere compassione o rimpianti per una politica messa all’angolo da eventi ineludibili e da un governo che sta ridando dignità al nostro Paese?
Io personalmente non ho alcuna compassione.

È vero, la politica, in un passato oramai lontano, è stata capace di grandi slanci, artefice di trasformazioni che hanno cambiato per sempre la Storia dei popoli, ma era un’altra politica, aveva la passione e la tensione morale di chi vuole costruire qualcosa di nuovo, qualcosa di assolutamente straordinario.
Questa è una politica senza ideali veri, e quindi incapace di progettare il presente e, ancor di più, il futuro.
È una considerazione amara, ma è la realtà.

Certo, alcuni politici si offenderanno: sicuramente si offenderanno coloro che hanno creduto per una intera vita ai loro ideali, e per una intera vita hanno profuso preziose energie per il bene della collettività. Coloro hanno tutto il mio rispetto e la mia ammirazione.
Gli altri non hanno alcun diritto di offendersi.
C’è una cosa, però, che in qualche modo concede alla politica qualche  giustificazione: essa è esattamente lo specchio della nostra società, di una società senza certezze, senza veri punti di riferimento, se non quelli del denaro facile, che si è lasciata incantare per anni, per troppi anni, dalle Sirene, ed ora è a terra, sfinita, incredula, semplicemente perché le Sirene non esistono, sono solo un’invenzione del mare e del vento.
(definizione di Sirena che ho trovato in un vecchio vocabolario: “ mostro che sulle rive del Tirreno, tra il Circeo e Scilla, allettava i naviganti col canto e li “menava a rovina!”)

Sulla base di tali considerazioni, quali saranno gli scenari possibili per il prossimo futuro?
La cosa che mi sento di poter dire è che in Italia è in atto un cambiamento radicale che sta andando molto al di là di quelle che potevano essere le iniziali previsioni. Quando ripenso alle affermazioni di qualche uomo politico di primissimo piano che parlava di “due o tre cose “ da fare prima di andare al voto, mi viene da sorridere (e non aggiungo altro!). Altro che due o tre cose! Qui, in Italia, come nel vicino Nordafrica, è in atto una trasformazione che oserei definire epocale.
L’aggettivo epocale non è eccessivo, in quanto in gioco ci sono elementi costitutivi del nostro vivere civile, della nostra democrazia.

Prima di tutto c’è in gioco il ruolo dei partiti: sono importanti, sono indispensabili, si possono proporre agli italiani così come sono attualmente?
Sono domande che loro stessi si stanno ponendo, e le risposte devono essere molto rapide perché il tempo a disposizione è poco. 
E le azioni da compiere al loro interno devono essere davvero molto incisive, perché ne va della loro sopravvivenza.
Mentre, ad esempio, al tempo di “mani pulite” il cambiamento era dettato da un pool di magistrati, senza un vero coinvolgimento del popolo, tanto che lo stesso “non ci ha capito praticamente nulla”, (se è vero che stiamo uscendo da un ventennio che si può  definire “oscuro”, ma è solo un eufemismo!). Ora la situazione è completamente diversa: ad osservare, con  molto “interesse”,  c’è una opinione pubblica di gran lunga più preparata, più intelligente, più illuminata. E poi c’è l’Europa che osserva con molta attenzione, poi ci sono i Mercati, quelli che scambiano capitali e quelli che scambiano merci.

Ed allora i partiti si devono dare una organizzazione diversa, devono concedere spazio agli uomini e  alle donne che davvero meritano, che davvero hanno a cuore il bene della collettività.
Poi strutture più snelle, meno pericolosissime “contaminazioni”, meno “irresistibili tentazioni”, perché non se lo possono più permettere, perché l’Italia non se lo può permettere.
È in quest’ottica che si innesta la necessità di una riduzione drastica dei parlamentari e della corruzione: due obiettivi ineludibili.

E poi ci sono gli italiani: c’è in gioco anche il loro ruolo, il loro essere cittadini di questo Paese. Credo si rendano conto anche loro, anche i più “refrattari”, con le buone o con le cattive maniere,  che certe “licenze” non sono più ammissibili: è un obbligo, prima di tutto morale, poi di convivenza civile.

In ogni caso, al di là di ogni possibile considerazione, c’è già una certezza, credo ne siano consapevoli tutti: nulla sarà più come prima e potrà essere come prima.
Succede sempre quando ci sono le grandi sfide, quando ci sono le “rivoluzioni”: è il loro fascino.
E la parola rivoluzione non sembri eccessiva: quella cui stiamo assistendo è una rivoluzione. Non cruenta, che non uccide persone, ma idee e comportamenti radicati nel tempo. È la rivoluzione dei gesti, delle parole dette sottovoce, ma ferme e decise. La rivoluzione delle scelte dolorose ma non più rimandabili, delle abitudini nuove, delle prese di coscienza. Dei ripensamenti rispetto a cose che ritenevamo scontate. Una rivoluzione sottile, oserei dire “elegante”, ma di rivoluzione si tratta.

Come in tutte le rivoluzioni, ci sono grandi resistenze. Chi ha la "schiena un po' ricurva" resiste di meno, chi la "schiena l'ha ben dritta" resiste di più, ma alla fine dovrà cedere. Chi ha usufruito di privilegi inaccettabili non vuole rinunciarci.
Chi è abituato al proscenio ha difficoltà a fare un passo indietro, ma la strada è segnata: l’ha segnata un uomo di 87 anni, dalla mente ancora lucidissima e dai nervi d’acciaio. Grazie Presidente.