LA FIAT E IL "MERCATO CHE NON C'È"

La Fiat è una multinazionale e, come tale, opera da sempre all'interno del mercato globale con fabbriche ed interessi in vari Paesi del mondo. L'acquisizione della Chrysler, negli USA, è solo l'ultima grande operazione eseguita.
Per anni è stato il simbolo del miracolo economico italiano ed ha fatto da volano a tutta l'economia del nostro Paese, dunque è stata ed è tuttora un patrimonio di lavoro da rispettare e da salvaguardare senza condizioni e senza limiti. Come qualsiasi azienda, e come è giusto che sia, persegue obiettivi di carattere economico e di crescita, con particolare attenzione verso quei mercati che, di volta in volta, risultano più adatti allo scopo.
In questo momento (in verità lo è da parecchi anni) il mercato il italiano, per la Fiat, è decisamente sfavorevole e quindi, nel valutare le decisioni e le azioni dei suoi dirigenti, in particolare dell'A. d. Marchionne, bisogna inevitabilmente tenere nella giusta considerazione ciò.
Quanto successo recentemente a Pomigliano, pur non volendo entrare nelle "pieghe" della "disputa" in quanto non pienamente a conoscenza di tutti i particolari, credo si possa inquadrare in una situazione di grande disagio ed incertezza sul da farsi, da parte dell'azienda, per una situazione che, nel breve, non fa intravedere nulla che non sia, purtroppo, ampiamente consolidato.
Tuttavia, due considerazioni mi sento di farle:
primo, anche se il mercato dell'auto è in un momento di grande difficoltà, i diritti dei lavoratori vanno rispettati, sempre, poiché sono loro, gli operai e gli impiegati, che fanno vivere l'azienda.
Secondo, in un momento così difficile, chi ha la fortuna di avere un posto di lavoro deve fare il possibile e l'impossibile per conservarlo dando il meglio di sé e, se il suo datore di lavoro ti chiede qualche sacrificio momentaneo, lo devi accettare perché utile alla causa.

É altrettanto evidente, che quando un'azienda deve fare i conti con una contingenza piuttosto sfavorevole, certe dinamiche di tipo sindacale all'interno della stessa non possano non tener conto di questo fatto e quindi debbano "attenuarsi di parecchio".

Detto ciò, la situazione della Fiat in Italia è chiara: il mercato interno è in continua contrazione a causa della crisi economica e l'azienda è in chiara, evidente difficoltà. Il segretario della Fiom, Maurizio Landini, rimprovera a Marchionne di avere, tre anni fa, promesso un investimento di 20 miliardi a fronte di soli 2 miliardi effettivamente investiti.
Io, personalmente, mi permetto di avere molti dubbi sulla opportunità di una tale critica, ammessa la sua veridicità (L'Amministratore delegato dichiara altri numeri), in quanto un A. d, prima di decidere di investire altri 18 miliardi (non una cifra qualsiasi!) fa una analisi di mercato e giunge alla seguente conclusione: gli italiani preferiscono comprare macchine straniere. Dati alla mano: in Francia tutti i marchi francesi hanno una quota di mercato (interno) di poco superiore al 60%, in Italia il gruppo Fiat ha una quota (sempre del mercato interno) pari al 33 %. In Germania, anche se non ho dati specifici, credo succeda più o meno la stessa cosa, almeno a giudicare dai modelli di macchina che circolano per le strade tedesche: quasi tutti provenienti da stabilimenti di quel Paese; in Italia, invece, succede esattamente il contrario!
Questa è la realtà con la quale fare i conti, e venire a compromessi con essa è estremamente difficile, se non impossibile. Se in passato, in qualche maniera, l'azienda ha potuto sopperire ad una situazione del genere, magari diversificando la sua produzione, ora, in un momento di crisi generalizzata, con i consumi interni in netto calo, la situazione si presenta quasi insostenibile.

Certamente il primo responsabile di una grande azienda non ti può dire "comprate i nostri prodotti, altrimenti ce ne andiamo", soprattutto perché siamo in un contesto europeo, ma il senso dei continui avvertimenti dello stesso va certamente in questa direzione. 
Perché l'acquirente italiano, quando è in procinto di acquistare un'automobile, non viene nemmeno sfiorato dal pensiero che "acquistando italiano contribuisco al sostentamento di centinaia di migliaia di famiglie": lui compra e basta, senza alcuna altra considerazione se non quella che, sempre secondo la sua personale valutazione, conduce ad un tornaconto.
E non mi si venga a dire che la sua decisione può essere motivata da una "superiore qualità" del prodotto straniero, perché non è così: il parco macchine della Fiat, intesa come gruppo, non è sicuramente inferiore a quello di altri marchi. Non lo è dal punto di vista qualitativo, non lo è dal punto di vista strettamente tecnico.

Purtroppo a noi italiani manca quella sorta di "scatto di italianità" che ti porta ad amare veramente il tuo Paese, ad esserne orgoglioso, nonostante tutto e nonostante tutti, a perseguire i tuoi interessi senza però ledere gli interessi degli altri, a non  essere "uno dei tanti", ma "uno tra i tanti". Forse perché il nostro Pese non ha maturato nel tempo una sua precisa identità nazionale, rimanendo sostanzialmente un "Paese di contrade", e quindi i suoi abitanti (noi) amano "badare" prima di tutto a loro stessi, o forse perché subiamo sempre il fascino, rimanendone  in qualche maniera "travolti", di ciò che fanno gli altri, di ciò che dicono gli altri, di ciò che hanno gli altri: è sicuramente un nostro limite che a volte ci è costato carissimo.

Di certo non abbiamo, per esempio, il senso di "grandeur" dei nostri vicino francesi, e nemmeno il loro famoso "sciovinismo", cioè attaccamento, a volte perfino esagerato, alla loro Nazione, alla loro bandiera, che li porta a sentirsi importanti e diversi. Ed allora, se in qualche occasione ci ricordassimo di "essere prima di tutto italiani", forse non sarebbe davvero male!
Chi vuol capire, capisca!

 

Ps: non sono stato ingaggiato da Marchionne come promoter della sua azienda!

 

 

 

 

 
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