Lettera al Presidente Americano Barack Obama: "il meglio deve ancora venire"
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Congratulazioni, Mr. Obama, la sua rielezione mi riempie di soddisfazione e di speranza. Ma ora, Egregio Presidente, deve onorare in pieno il suo motto: "il meglio deve ancora venire". Sì, il meglio deve ancora venire, per quei milioni di suoi connazionali, soprattutto neri ed ispanici, che hanno creduto in Lei, che hanno pianto e gioito per quell'uomo semplice e gentile che ha scelto di stare dalla loro parte, dalla parte dei più deboli, dei più poveri, dei più indifesi, dei più sofferenti. Perché la vita per i più deboli, in America, come in altri Paesi ricchi del mondo, è molto difficile: difficile per l'umiliazione che devono subire ogni giorno a causa della loro condizione di indigenza, difficile per il confronto impietoso con lo strapotere dei ricchi e dei potenti.
Ed allora ridistribuire la ricchezza, togliere un po' a chi ha tanto avuto dalla vita per darlo ai più deboli, non è un'utopia, anzi, è un dovere al quale non può e non deve sottrarsi. La riforma sanitaria che Lei, tra tante difficoltà,  ha varato, è stato un primo importante passo, ma ora serve altro, serve di più, deve ridare speranza ed un sorriso a chi per troppo tempo è stato all'angolo, considerato inferiore solo perché aveva un colore diverso della propria pelle o tratti somatici diversi. Perché noi, caro Presidente, come Martin Luter King, siamo "quelli dei sogni", quelli che nel loro cuore coltivano il sogno di un mondo migliore, in cui non domini l'arroganza del potere e dei soldi, ma domini la ricchezza e la forza dei cuori.

E "il meglio deve ancora venire", Egregio Presidente, anche in politica estera. Lei non è uno qualsiasi, Lei è una persona che fa parte della ristrettissima cerchia di coloro che sono stati onorati con il premio Nobel per la pace: massima onorificenza, ma anche massimo onere, massimo impegno per essere all'altezza, per non deludere. Quando Lei venne in Europa, all'indomani della sua prima elezione, e folle oceaniche lo applaudirono; quando Lei, nel suo discorso a il Cairo, tenne incollati alle radio e alle televisioni milioni di arabi, toccò i cuori e mosse le speranze per un mondo migliore, in cui potessero finalmente dominare il reciproco rispetto e la reciproca accoglienza.
In quelle zone del mondo, in questi ultimi tempi è successo molto, anche di grande, anche per merito suo, ma ora c'è da completare l'opera: lo so che l'impegno è molto gravoso, che le resistenze e le diffidenze sono grandissime, ma solo Lei ce la può fare. Ridare dignità e futuro ad un popolo (quello palestinese), che per tanti anni è stato umiliato e ferito, è un dovere al quale non può sottrarsi e, ne sono sicuro, non si sottrarrà. Perché il treno della pace nel mondo, anche se può sembrare strano, passa proprio per quel "fazzoletto di terra", conteso da anni da due popoli. E non sembri inverosimile che la "pace del mondo dipenda da ciò che accade in quel territorio". Quel piccolo territorio è un simbolo, il  simbolo dei "più deboli che si devono inchinare davanti allo strapotere dei più forti". E i simboli, si sa, in quanto tali, sono sempre piccoli, ma carichi di significati e forza talmente grandi da smuovere le coscienze di milioni di persone.

Per Lei è una occasione irripetibile, ora che certi condizionamenti e certi freni vengono inesorabilmente meno, per essere consegnato alla riconoscenza del mondo intero, per essere consegnato allo smisurato orgoglio della Nazione - guida che Ella rappresenta, per essere consegnato alla Storia.


Grazie in anticipo, sono sicuro che non mi deluderà.
Yes, we can, fortissimo, e con il cuore.